Intervista a Maria Luisa Franchi di Michele Peretti – 23/06/2019
Essere CODA vuol dire sentire una profonda familiarità con le persone sorde.
Maria Luisa Franchi è un’interprete di Lingua dei Segni Italiana (LIS), bilingue fin dalla nascita. Dagli anni ’80 collabora con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR di Roma, è insegnante di LIS e formatrice di interpreti. Il 6 giugno 2019 la trasmissione RAI “Uno Mattina” ha celebrato i 25 anni dalla prima messa in onda del TG 1 LIS. In quell’occasione fu proprio lei a ricoprire il ruolo di interprete.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Vuol dire sentire profondamente la familiarità con le persone sorde, sentire in maniera viscerale la necessità del rispetto dei diritti delle persone sorde.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
In realtà la mia famiglia era composta per lo più da udenti. Per questo io sono stata esposta all’italiano sin dalla nascita. Soltanto mio padre, mio zio e mia zia erano sordi e quindi noi frequentavamo moltissimo la Comunità Sorda. Inoltre, mia madre e mio fratello hanno lavorato per tanti anni in un convitto per sordi.
3) A scuola ti sei mai sentita diversa dagli altri?
Sì, inevitabilmente. Mio padre era sordo quindi io avevo sempre un senso di vergogna nel dire che mio padre era sordo. Forse più che di vergogna si trattava di ritrosia, timidezza, e non sentirsi uguale agli altri. Il disagio dell’adolescenza si è poi trasformato in un profondo orgoglio nell’età della giovinezza e poi della maturità.
4) Da un punto di vista linguistico e culturale ti senti più udente o sorda?
Decisamente udente. Tuttavia la profonda conoscenza della Cultura Sorda mi porta sempre ad avere un’attenzione particolare, un senso di appartenenza molto forte.
5) Cosa apprezzi delle due culture e cosa invece ti piace meno?
Ognuna delle due culture mi porta a comprendere la differenza, ovvero la ricchezza che sta nella differenza tra le due culture. Della Cultura Sorda non amo il senso di timidezza o di reticenza che si ha quando una cultura è stata per molto tempo sottomessa alla cultura dominante. Della cultura udente non mi piace la scarsa conoscenza che porta a volte le persone udenti a un comportamento poco accogliente nei confronti delle persone sorde o al contrario troppo accogliente.
6) Hai incontrato delle difficoltà dovute al fatto di essere figlia di sordi? Se sì, quali?
In tutta onestà non ricordo di aver avuto particolari difficoltà anzi questa mia provenienza mi ha creato una strada professionale molto solida. E come a volte accade, è stato un valore aggiunto che mi ha portato a traguardi altrimenti insperati.
7) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Una ricchezza culturale.
8) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Da giovanissima interprete andai insieme a una persona sorda da un avvocato. Si tratta di molti anni fa quando i sordi, con il loro deficit invisibile, passavano inosservati e la Lingua dei Segni non era ancora in televisione, pertanto totalmente sconosciuta. Dopo qualche minuto di domande dell’avvocato e risposte della signora sorda, squilla il telefono. L’avvocato inizia a parlare e io contemporaneamente inizio a interpretare le parole dell’avvocato, anche se non rivolte alla persona sorda. L’avvocato mi guarda sbalordito e, al termine della conversazione telefonica, mi chiede cosa avessi fatto e perché. “Ho interpretato quello che ho sentito. Io sono l’udito della signora, quindi faccio in modo che lei possa ascoltare tutto quello che sento io. In questo modo la persona sorda può sentirsi come una persona udente. Il mio lavoro non è solo quello di passare il messaggio rivolto direttamente ai sordi, ma è anche e soprattutto farli sentire immersi nella comunicazione orale così come lo siamo noi”. L’avvocato mi ha guardato come se gli avessi aperto una finestra sul mondo e mi ha detto: “Lei mi ha dato una grande lezione sulla sordità, grazie!”.
9) Diventare Interprete LIS: vocazione o senso del dovere?
Decisamente vocazione. Il senso del dovere è rivolto alla mia professione nel portare avanti con serietà, attenzione alle persone sorde e passione nel migliorare le abilità di interpretazione giorno dopo giorno.
10) Qual è il tuo motto?
Non ne ho uno soltanto. Ne ho diversi: “La vita è una figata”, “Sorridi alla vita” e “Per aspera ad astra”.