Intervista a Rita Sala di Michele Peretti – 18/09/2019
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Rita Sala è Interprete di Lingua dei Segni da più di vent’anni e laureata in Sociologia presso l’Università di Padova. Dopo varie esperienze all’estero si è specializzata in Deaf Studies. Insegna tecniche di interpretazione e Deaf Culture presso vari enti quali Università Ca’ Foscari di Venezia, Siena School for Liberal Arts, Gruppo Silis di Roma, Oppi di Milano e varie sedi provinciali ENS. Collabora da anni anche con la Mason Perkins Deafness Fund onlus.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Significa aver vissuto in famiglia un’esperienza diversa dal comune. Significa essere parte anche della comunità sorda. Significa aver avuto responsabilità diverse dalle persone della mia età e forse essere cresciuta più velocemente per alcuni aspetti.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Da sempre. In famiglia si usava più l’italiano che la LIS. Grazie anche a mia nonna udente, che viveva in casa con noi e parlava italiano.
3) A scuola ti sei mai sentita diversa dagli altri?
Sì, quando durante i colloqui facevo da interprete tra le maestre e i miei genitori. Le sgridate per non aver studiato i miei compagni se le prendevano a casa, io le traducevo e me le prendevo al momento!
4) Da un punto di vista linguistico e culturale ti senti più udente o sorda?
Direi più udente anche se culturalmente mi sento parte integrante della comunità sorda.
5) Cosa apprezzi delle due culture e cosa invece ti piace meno?
Della cultura udente direi il dare per scontato che “udire” sia fondamentale, della cultura sorda il pensare che udire equivalga a sapere tutto.
6) Hai incontrato delle difficoltà dovute al fatto di essere figlia di sordi? Se sì, quali?
Fare da tramite per i miei perché la società non era in grado di farlo, mi ha sicuramente messo in difficoltà. Alcune mie scelte sono state condizionate dall’avere i genitori sordi, o meglio dall’idea che avendo dei genitori sordi fosse necessario fare delle scelte che tenessero conto di questo.
7) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Sicuramente la competenza in due lingue mi ha dato la possibilità di costruirmi una professione. Inoltre la capacità di mettermi nei panni degli altri e di fermarmi a ponderare la diversità non come un aspetto negativo bensì come una peculiarità.
8) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Uno dei tanti è aver pensato che i miei non fossero sordi ma delle spie che fingevano di essere tali…e so di non essere stata l’unica.
9) Diventare Interprete LIS: vocazione o senso del dovere?
Nato come un dovere (se non io chi altri?), diventato un piacere (quante cose imparo e quanta gente conosco) e una professione da fare al meglio che posso per rendere il ricco scambio tra i due mondi.
10) I CODA figli di segnanti dimostrano in genere una predisposizione maggiore all’interpretariato IT>LIS>IT?
Non saprei. La mia generazione viene dall’oralismo e quindi da genitori in parte segnanti e in parte no. Mia mamma non segnava, mio papà sì ma in associazione, a casa poco visto che io e mio fratello eravamo udenti. Mio fratello non segna. Io sono cresciuta all’ENS e i miei amici erano segnanti. È un mondo talmente variegato che non saprei dare una risposta netta. Certo chi ha i genitori segnanti ha due lingue e come tutti i bilingui ha possibilità di inserirsi nel mondo dell’interpretariato.
11) Qual è il tuo motto?
Non ne ho uno ma se non so come andrà qualcosa quello che mi dico è “andando vedendo”. Non è un motto ma più una frase che mi aiuta a dare spazio al tempo.