Intervista a Pietro Celo di Michele Peretti – 3/11/2019
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Pietro Celo, figlio di genitori sordi, è docente e interprete di Lingua dei Segni Italiana. Laureatosi in Lettere Moderne, ha conseguito un Dottorato di ricerca in Formazione e Comunicazione presso l’Università Bicocca di Milano. Attualmente insegna materie letterarie nella scuola secondaria e Lingua dei Segni Italiana presso il Dipartimento di Lingue e Letterature, Interpretazione e Traduzione (Campus di Forlì) dell’Università di Bologna.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Avere genitori sordi è stato un vantaggio. Da ragazzino ero una peste e nessuno poteva dirlo ai miei. A parte gli scherzi, essere figlio di persone sorde ti mette costantemente di fronte alla specifica diversità ontologica con i tuoi genitori: essere diverso nel profondo esistenziale. Questo è un dato di fatto e ogni figlio di sordi reagisce come meglio riesce. Io, di questa diversità, ne ho fatto la mia professione.
2) Come e quando sei stato esposto all’italiano?
Sono figlio unico e i miei genitori si sono trasferiti a Verbania appena prima che nascessi. I parenti erano e sono lontani. Il mio italiano è stato quello della mia mamma che mi parlava utilizzando termini che a distanza ho scoperto essere tutti suoi, per esempio:
Detescrivo: detersivo
Etna: antenna
Disonauro: dinosauro
Cucire a macchina: ovvero la macchina da cucire
Scioiattòlo: scoiattolo
Cartallumino: rotolo di carta argentata per avvolgere i cibi
Sciuma: mousse o schiuma di tonno per pranzo natalizio
Facebol: Facebook
Moscherino: moscerino
Briciòle: le briciole appunto. In questo senso tutte le sdrucciole diventano piane, pecòra e bambòla, albèro e giocattòlo.
3) A scuola o in altri contesti ti sei mai sentito diverso dagli altri?
Quando sei diverso dai tuoi genitori sei sempre diverso da tutti. Per questo motivo solo tra figli di genitori sordi ci sentiamo simili. A scuola ero il figlio dei muti, nella Comunità sorda ero il figlio udente dei miei genitori. Solo con il mio lavoro e la mia professione mi sono emancipato da questa etichetta.
4) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
La Lingua dei Segni è il regalo che i miei genitori mi hanno fatto. Gliene sarò sempre grato. Questo è quello che più apprezzo della cultura sorda. Peccato che talvolta tra i sordi non ci sia spazio per noi udenti e che i CODA siano proprio quelli più esposti a critiche in quanto più vicini al loro modo di essere. Come ho ben compreso si tratta della differenza ontologica, del riconoscimento e disconoscimento dell’altro uguale e diverso da te. Nel caso dei CODA questo è più profondo e intenso.
5) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Una certa attenzione agli aspetti visivi, all’armonia del corpo e del gesto, alla simmetria dello spazio prossemico, una comprensione profonda delle espressioni facciali, dei dettagli cromatici e morfologici. Questo è quello che l’essere bilingue Italiano/LIS regala a una persona udente.
6) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
I ricordi dei CODA sono spesso simili. Sono storie di incomunicabilità e di frustrazione o di aiuto e di responsabilità. Ricordo che in un vecchio cinema di provincia, mio padre mi portò a vedere un cartone animato, Lilli e il Vagabondo, mi pare, e nella luce azzurrina del proiettore le volute di fumo sembravano draghi (si poteva ancora fumare in sala). Due signore nella fila dietro di noi commentavano quanto fossi sfortunato e misero mentre parlavo con mio padre con i segni. Glielo dissi e lui le apostrofò con il suo vocione roco da “sordomuto”. Fuggirono e io risi per una settimana.
7) Diventare Interprete LIS: vocazione o senso del dovere?
Sempre senso del dovere, almeno all’inizio. Poi passione e professione, impegno e sudore della fronte, serietà professionale e organizzazione del proprio lavoro, condivisione con i colleghi. La vocazione la lasciamo per le cose più spirituali.
8) Come si è evoluta nel tempo la figura dell’interprete LIS?
Con Valeria Buonomo ne abbiamo parlato a lungo nel volume “L’interprete di Lingua dei Segni Italiana” (Hoepli editore). Dall’interprete amico, di comunità, spesso un famigliare dei sordi o un insegnante dell’istituto per sordi, con una visione paternalistica e assistenziale del sordo, a un interprete strumento, macchina traduttrice, distante professionalmente e ahimé umanamente dalla comunità e dalla cultura dei sordi. Recentemente si sta imponendo la figura dell’interprete partecipante, o meglio dell’interprete alleato, che collabora e lavora professionalmente per l’emancipazione e le pari opportunità della comunità dei sordi e di conseguenza compie un atto di civiltà nei confronti di tutta la società. Questa ultima figura è quella che auspico e che vedo.
9) In quanto formatore di interpreti quali sono a tuo avviso gli aspetti su cui occorre insistere maggiormente?
Innanzi tutto è bene chiarire la differenza tra traduzione e interpretazione. Un aspetto che spesso non si tratta nei corsi. E poi direi che la parte di “liberazione” del corpo, delle espressioni, dei movimenti e il valore delle mani non sono ben valorizzati. Si pensa alla dizione, ma le persone udenti che studiano per diventare interpreti restano udenti, imparano un’altra lingua in una nuova modalità tridimensionale e corporea. Bisogna liberare il corpo dalle parole sonore.
10) Com’è stata la tua esperienza nella scuola di Cossato?
Bella ed entusiasmante. Sono stato consulente per il gruppo interpreti dal 1994 al 2016. Lavorare con i bambini è un atto di responsabilità che sottintende grande fatica e abnegazione. Io lavoravo con le colleghe, spero di essere stato utile per la loro crescita professionale.
11) In cosa consiste il metodo intramorfico?
Negli anni del mio dottorato presso l’Università Bicocca di Milano, con la collega Nicole Vian, abbiamo prodotto ben 7 libri della collana Guanti Rossi con le illustrazioni di Andrea Tarella, disegnatore di Milano. Il progetto, inizialmente finanziato dal Rotary Club di Gattinara, nasce dal tentativo di dare agli insegnanti della Scuola Inclusiva uno strumento snello ed efficace che si pone nell’ambito di quella che noi definiamo “didattica intramorfica”, ovvero l’avviamento alla letto-scrittura attraverso la differente forma e matericità dei sistemi simbolici: da una parte quello tridimensionale visivo della Lingua dei segni, dall’altra quello bidimensionale grafico della scrittura. Un processo graduale di trasformazione non solo del sistema di simboli ma anche della materia di cui quei simboli stessi sono composti. È un passaggio dalla Lingua dei Segni utilizzata in Italia all’Italiano segnato, alla dattilologia, alla scrittura, in un processo graduale di trasformazione della forma simbolica. Metodi e strumenti differenti, tra loro contigui, talvolta sovrapposti, che concorrono spesso in una sorta di Comunicazione Totale all’apprendimento della lettura e della scrittura. Si tratta di un libro inclusivo che vale sia per gli allievi sordi che per quelli udenti pur tenendo conto che tutto ciò che è strettamente legato alla pronuncia e al suono delle lettere è difficilmente comprensibile per un bambino sordo profondo. Coerente con l’impostazione intramorfica si è indicato un apprendimento globale della letto-scrittura, anche qui un approccio che vada progredendo dal generale al particolare, un approccio globale e non sillabico, visivo e non acustico. A metà di novembre il mio libro “Scrivere con le mani” (Erickson editore – Trento 2018) verrà premiato con il Premio Don Giulio Tarra, ricerche e studi per la sordità.
12) Quale futuro per la LIS nell’era digitale?
In Italia non esistono ancora corsi online strutturati per l’apprendimento della LIS. Credo che l’Associazione Guanti Rossi onlus di Milano farà partire a breve un progetto sul web. Per ora esiste solo la pagina Facebook dell’Associazione. Per il resto direi che il mondo visivo e virtuale permetteranno alla LIS di essere sempre più utilizzata su internet dagli udenti. È un trend inevitabile per salvaguardare la lingua e il suo patrimonio culturale che è anche della Comunità sorda.
13) Ritieni possa fare davvero la differenza formare gli interpreti LIS all’interno delle Università?
Dopo un periodo artigianale e legato alle scuole professionali, da almeno 15 anni la formazione degli interpreti ha avuto valenze accademiche. Naturalmente non è l’istituzione che fa la qualità della formazione bensì la qualità dei programmi e degli insegnanti.
14) Qual è il tuo motto?
Vivere consciamente.