Intervista a Federica Piccolo di Michele Peretti – 04/02/2020
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Grazie alla tenacia, all’ambizione, al sacrificio e alla perseveranza sono riuscita a realizzare il mio sogno.
Federica Piccolo è nata il 6 agosto 1990 ad Avellino da genitori sordi. Diplomata al liceo magistrale, è laureata in Scienze dell’Educazione e successivamente ha conseguito la magistrale in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Salerno. In entrambe le tesi di laurea ha analizzato e approfondito la questione Culturale, didattica ed educativa del mondo dei S/sordi, nello specifico le varie metodologie formative più idonee per l’apprendimento di un bambino sordo dall’età pre-linguale. Durante il periodo universitario ha conseguito anche il titolo di Assistente alla Comunicazione presso il Silis di Roma, ma il suo sogno è stato sempre quello di diventare interprete LIS. Ed è così che si è trasferita a Torino per frequentare il corso Interpreti tenuto dall’ENS. Oggi lavora presso l’Istituto dei Sordi di Torino come interprete in ambito universitario e inoltre come educatrice di un bimbo sordo.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Essere CODA è un privilegio, un dono che pochi possono avere. Forse da piccola non riuscivo a comprendere la mia “fortuna” ma ora posso dire di esserne orgogliosa. Noi CODA possediamo dei “superpoteri” che ci consentono di abbattere muri enormi. Oggi mi chiedo come sia stato possibile che una bambina di circa 4 anni, con estrema naturalezza, sia riuscita da sola a superare tutti questi limiti comunicativi e culturali mentre la società di adulti ancora non ci riesce.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Sono stata esposta all’italiano parallelamente alla LIS, grazie ai miei nonni e a mia zia. Figure fondamentali che sin da piccola mi hanno insegnato le canzoncine che poi cantavamo insieme e mi leggevano le favole più belle. Ma la mia mamma, consapevole dell’importanza della lingua italiana, decise già a 8 mesi di portarmi all’asilo nido, chiedendo espressamente alle maestre di insegnarmi a parlare.
3) A scuola o in altri contesti ti sei mai sentita diversa dagli altri?
Devo ammettere che qualche volta mi sono sentita diversa, soprattutto quando c’erano i colloqui con le insegnanti. Tutti i CODA svolgono il lavoro di interprete in queste circostanze e spesso vedevo i miei professori guardarmi con occhi di ammirazione per quello che facevo. Nonostante io spiegassi che per me era la normalità, che non facevo nulla di speciale. Parlavo con la mia mamma e il mio papà come del resto facevo anche a casa. Lo stesso sguardo era anche negli occhi delle mamme delle mie amiche, ma qui devo ringraziare la mia mamma. Lei ha capito subito l’importanza di dover abbattere immediatamente i pregiudizi e ha cominciato a fare amicizia con le mamme delle mie amichette più care. Ora capisco bene quanti sforzi abbia fatto per far sì che tutte le mie paure potessero svanire.
4) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
Apprezzo sicuramente la lingua e la forza di una comunità che continua tutti i giorni a lottare per una società accessibile. Questo limite probabilmente è la causa della diffidenza che mostrano nei confronti di un governo che continua a far finta che non esistano privando la loro lingua di un valore. Un valore che per quanto mi riguarda è immenso perché mi ha permesso di crescere in un contesto bilingue.
5) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Solitamente si tende ad affermare che il bambino con genitore madrelingua, ad esempio inglese, sia fortunato in quanto conosce sin da subito due lingue e di conseguenza è bilingue. Ma nessuno pone la stessa questione in merito alla LIS. La Lingua dei Segni appresa contemporaneamente all’italiano e quindi il mio bilinguismo, mi ha permesso di poter utilizzare due canali comunicativi diversi. Una ricchezza davvero indescrivibile.
6) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Sì. Avevo più o meno 6 o 7 anni e guardavo tra gli scaffali del supermercato con la mia mamma. Come tutti i bimbi stavo cercando di convincerla a comprarmi i biscotti che mi piacevano di più, e quindi stavamo parlando in LIS, con la stessa naturalezza con la quale comunicano, anche se diversamente, tutte la mamme con le proprie figlie. A un certo punto mi sono sentita osservata, c’erano due donne che parlavano tra loro e continuavano a dire “Poverina, anche la bambina è sordomuta, anche la bambina non parla, vorrà dire qualcosa alla mamma ma la mamma non riesce a capirla”. Ho fatto finta di nulla, le ho poi ritrovate alla cassa. Mentre aiutavo la mia mamma a disporre la spesa nella busta, continuavano a commentare. Mi chiedo chi non fa la stessa cosa alla cassa con i propri figli? A un certo punto, una delle due mi accarezza e comincia a urlare: “COME SEI BELLA, COME TI CHIAMI?” E io ormai stanca, le rispondo: “MI CHIAMO FEDERICA E SONO UDENTE. QUESTA È LA MIA MAMMA, NOI PARLIAMO CON I SEGNI E COMUNQUE I BISCOTTI ALLA FINE LI HO COMPRATI PERCHÉ LA MIA MAMMA HA CAPITO BENISSIMO COSA VOLESSI”.
7) Perché hai scelto di intraprendere il percorso di studi in Scienze dell’educazione?
Già scegliendo il liceo ero decisa e famelica di studiare le materie umanistiche. La scelta dell’università è stato il proseguo di un percorso già avviato e soprattutto la strada per poter lavorare con i bambini sordi. Uno dei miei più grandi desideri.
8) Interprete LIS e Assistente alla Comunicazione: scelta o senso del dovere?
Essere un’assistente alla comunicazione è stata sicuramente una spinta data dal percorso di studi e dalla passione che ho per i bambini. Diventare interprete LIS semplicemente un sogno realizzato o forse un futuro predestinato sin dalla nascita. Già da piccola guardavo il TG LIS e fantasticavo di voler diventare un’interprete. Ho lottato in tutti i modi per questo titolo, arrivando a studiare a 800 km da casa. Ognuno di noi ha un sogno nel cassetto e il mio sono riuscita a esaudirlo.
9) Come sei entrata a far parte del Comitato Giovani Sordi Italiani (CGSI)? Di cosa ti occupi?
Da piccola avevo tanti amichetti sordi e loro durante il periodo estivo partecipavano sempre alle vacanze studio, a viaggi e attività che organizzava il CGSI ma io non potevo perché ero udente. Nel 2018 mi è stato proposto di essere la collaboratrice udente del CGSI Nazionale e ho accettato subito. Mi occupo di gestire i contatti telefonici laddove necessario, ma principalmente collaboro ai progetti, all’organizzazione di eventi e vacanze studio. In realtà per me è un’opportunità di crescita quotidiana, grazie a loro imparo tante cose. Devo ringraziarli uno a uno perché mi fanno sentire sempre speciale.
10) Pensi che un eventuale riconoscimento della LIS possa essere davvero risolutivo in termini di servizi e accessibilità per le persone sorde?
Assolutamente sì. Il riconoscimento della Lingua dei Segni per le persone sorde è fondamentale ma soprattutto doveroso. Ormai siamo gli unici in Europa a non averla ancora riconosciuta. Per quale motivo la persona sorda non può avere gli stessi servizi accessibili di noi udenti? Il riconoscimento della LIS gioverebbe sicuramente all’intera società. “Essere diversi non è una cosa né buona né cattiva. Significa che sei abbastanza coraggioso di essere te stesso”, affermava Albert Camus. Ed è di questo coraggio che le persone sorde hanno urgente bisogno. Noi CODA, esseri a metà tra mondo sordo e mondo udente, dobbiamo essere le stampelle che sostengono questo livore. Ogni individuo deve essere libero di vedersi riconosciuti dei DIRITTI, senza necessariamente battersi ogni giorno per ottenerli.
11) Qual è il tuo motto?
“Chi semina amore, raccoglie felicità”. Questa è la frase con cui sono cresciuta. L’amore seminato dai miei genitori mi ha permesso di poter raccogliere sia per loro che per me tanta felicità. Il mio papà specialmente mi ha sempre segnato: “ SEME METTI, PIANO PIANO PIANTA CRESCE BELLA E FELICE” (frase scritta in grammatica LIS).