intervista a Alessandra Farris di Michele Peretti – 06/03/2020
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Alessandra Farris è figlia di genitori sordi. Cofondatrice e Responsabile Marketing di IntendiMe, ha studiato Lettere Classiche all’Università di Cagliari. Ha una decennale esperienza nella vendita, nella gestione e formazione del personale. In IntendiMe vede, insieme ai suoi soci, la possibilità di apportare un impatto importante e positivo nella vita delle persone sorde. L’intero team aspira alla creazione di un’impresa che rappresenti qualcosa di grandioso. Non soltanto per la soluzione in sé, ma per tutto quello che di bello è possibile costruire insieme, offrendo una possibilità di rivincita alle persone sorde in un mondo che talvolta le esclude e sottovaluta. Alessandra sogna un mondo veramente accessibile, inclusivo e senza barriere e ha tutta l’intenzione di dare il suo contributo per realizzarlo.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Per me essere CODA significa avere il privilegio di esplorare il mondo da due prospettive differenti, con lo sguardo rivolto verso la stessa direzione. Essere CODA significa anche crescere e imparare a parlare più in fretta nonché prendersi delle responsabilità che di certo i miei coetanei non avevano. Tutto questo ha fatto di me una persona tanto empatica e sensibile quanto combattiva. Amo e rispetto tutti gli esseri viventi nella loro unicità. Ho imparato che vale sempre la pena lottare per ottenere i propri diritti e che la diversità è ricchezza. Chi non la vede è prigioniero di una barriera mentale.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Sono cresciuta in una famiglia bilingue dove LIS e italiano viaggiavano di pari passo: ad ogni parola corrispondeva un segno e io i segni li capivo già nella culla. Segnare e parlare è stata per me una cosa naturale e scontata, direi. Ho cominciato a parlare davvero molto presto e a due anni avevo già capacità tali da parlare al telefono e prendere gli appuntamenti dal medico per i miei genitori. Chi stava dall’altra parte della cornetta mi diceva: “Sei solo una bambina, non puoi prendere gli appuntamenti”! E io rispondevo “Sì, sono una bambina ma i miei genitori sono sordi e al telefono non sentono, quindi lo faccio io per loro”.
3) Quali sono i primi segni che hai imparato?
Ho imparato e replicato subito i segni infantili come mamma, pappa, latte, papà, etc. sempre accompagnati dal vocale. Ma, a dire di mia madre, il mio segno preferito era “papà bello”: sono sempre stata innamorata di lui e l’ho dimostrato fin da subito! Pensandoci bene, i miei genitori hanno usato inconsapevolmente il metodo Baby Signs che è tanto in voga adesso, una scelta veramente azzeccata che mi ha permesso di acquisire rapidamente grandi capacità di comunicazione e interazione col mondo.
4) A scuola ti sei mai sentita diversa dagli altri?
Io ero quella coi genitori strani, che parlavano con le mani. I miei compagni seguivano i loro movimenti con attenzione e li guardavano affascinati, mentre i loro genitori li squadravano con aria di sufficienza. Gli altri bambini mi domandavano perché mio padre parlasse in quel modo strano, con quell’accento così particolare e io rispondevo con grande sicurezza: “è americano”. Beh, ci hanno creduto per anni. Dopo la diffidenza iniziale tra bambini e genitori le barriere mentali quasi sempre cadevano. I miei compagni adoravano i miei genitori e li chiamavano zia Antonella e zio Raffaele, diventati per loro confidenti e consiglieri (perché i sordi sanno ascoltare con attenzione). Per quelli con cui ho mantenuto un rapporto di amicizia le cose non sono cambiate. Però non dimenticherò mai quei bambini, ivi compresi i miei vicini di casa, che mi prendevano in giro perché i miei genitori erano sordi e mia nonna che usciva di casa con la scopa per difendermi. Non scorderò mai nemmeno le mamme che, una volta conosciuta la mia e appurato che sapesse parlare in un italiano corretto (forse anche migliore del loro), dicevano alla maestra che i miei temi venivano scritti da lei. A dire il vero nell’italiano scritto non è poi così tanto brava come in quello parlato! Eppure io i temi li scrivevo anche a scuola, davanti alla maestra e ai miei compagni! Divertente, no? La verità è che, così come ho iniziato a parlare molto presto, ho iniziato a leggere e a scrivere altrettanto presto e tutto ciò che scrivevo era frutto della mia fantasia e della mia immensa curiosità, la stessa che già dai 6-7 anni mi portava a prendere in prestito dalla biblioteca libri come La Divina Commedia e I Promessi Sposi, seppur nell’edizione per bambini.
5) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
La cultura sorda mi piace tutta. I sordi hanno un modo tutto particolare di comunicare il proprio Io più profondo, così iconico e affascinante. Quando inizi a conoscerla e ad apprezzarla, non ne hai mai abbastanza. Sia che siano segnanti o meno, le capacità espressive dei sordi sono pazzesche: il volto, il movimento degli occhi, delle sopracciglia, delle mani e non solo… parlano, parlano tantissimo! E che dire dell’arte nelle sue varie declinazioni col cinema, il teatro, la pittura e la fotografia? Adoro quella particolare attenzione per i dettagli che spesso ci sfuggono e che solo un canale visivo più allenato di quello di chi si affida principalmente a quello uditivo riesce a esaltare. Non si può non amare tutta questa creatività! Cosa non mi piace, invece? Talvolta l’invidia che percepisco tra i sordi stessi, che si guardano l’un l’altro sentenziando sulle scelte altrui, soprattutto in merito al metodo linguistico-educativo e alla scelta dei dispositivi acustici all’ascolto. Questa mancanza di unità e di non accettazione delle scelte personali è una cosa che mi dispiace moltissimo, perché io credo davvero che insieme si possa ottenere molto di più, sempre nel pieno rispetto della libertà di scelta di ciascuno, senza giudicarla né ostacolarla. Ognuno ha il proprio bagaglio di esperienze e le proprie esigenze, ognuno aspetta di vedere riconosciuti i propri diritti e ogni conquista non deve mai rappresentare uno svantaggio per qualcun altro.
6) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Come ho già raccontato, questo contesto ha accelerato lo sviluppo delle mie capacità comunicative e le ha amplificate in maniera notevole nella parola e nella scrittura, come anche nelle espressioni del viso e del corpo. I continui stimoli in due lingue mi hanno spinta a cercare di farmi capire bene e a interagire precocemente con le persone. Allo stesso tempo, mi hanno provocato un’insaziabile sete di sapere e hanno nutrito la mia curiosità e passione per le lingue e per tutto ciò che è nuovo e non ordinario. Credo che una sana convivenza tra lingua parlata e segnata, come è capitato a me, sia un’occasione di crescita e di sviluppo davvero preziosa. Tra le altre cose, il mio tipico atteggiamento da maestrina mi ha spinto fin da piccola a correggere gli errori di pronuncia e grammaticali commessi dai miei genitori, aiutandoli così a migliorare la loro produzione parlata e scritta. Diciamo che tra noi c’è sempre stato uno scambio reciproco di conoscenze di cui tutti abbiamo giovato.
7) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Ricordo che in prima liceo non avevo un buon rapporto con la professoressa di italiano e latino, nonostante fossero le mie materie preferite (che poi, assieme al greco sono diventate le mie principali materie di studio universitario). Un giorno mia madre si recò a un colloquio con la professoressa. Quando le dichiarò di essere sorda e le chiese l’accortezza di parlarle in modo lento e chiaro, senza girarsi e coprirsi la bocca come stava facendo, la professoressa le rispose che era proprio scema come me. Chiaramente mia madre si sentì umiliata e offesa per sé e per la figlia, di cui conosceva invece le capacità, e lasciò la scuola in lacrime. Rientrata a casa scoprii l’accaduto e il giorno dopo lo denunciai al preside, che però si dimostrò disinteressato nel prendere provvedimenti. Così mi recai subito in segreteria e feci richiesta di ritiro per l’anno scolastico in corso. Nei mesi successivi studiai a casa da sola e sostenni l’esame da privatista superandolo brillantemente.
8) Com’è nata l’idea di IntendiMe?
Premetto che in quanto CODA ho sempre desiderato realizzare qualcosa che potesse aiutare i miei genitori e le altre persone sorde nella vita di tutti i giorni. IntendiMe è stata l’occasione per farlo. Il fatto divertente è che i miei genitori mi hanno sempre raccontato che, quando avevo appena due mesi, se qualcuno saliva le scale interne di casa io iniziavo a guardare verso l’alto per avvisarli del rumore, e verso i 5 mesi con le dita indicavo la porta: ero praticamente un campanello vivente! Successivamente questo “lavoro” è stato svolto dagli avvisatori luminosi e dal mio cane Pelè (che però col passare degli anni è diventato sordo pure lui!). Mi piace quindi pensare che mentre da piccola ero io il rilevatore sonoro dei miei genitori, da grande gliene ho creato uno vero! IntendiMe infatti è nata per caso durante un percorso universitario volto alla creazione di imprese innovative. Lì ho conosciuto quelli che sarebbero divenuti i miei futuri soci: Giorgia e Antonio. Dal nostro scambio di esperienze è nata l’idea di una soluzione che migliorasse la quotidianità delle persone sorde e insieme l’abbiamo sviluppata. Mai avrei pensato che la mia esperienza personale avrebbe potuto ispirare qualcosa di così bello, capace di trasformarsi addirittura in un’azienda. IntendiMe rappresenta l’incontro di tre teste, tre intelligenze e tre cuori che hanno modellato la propria vita in funzione di questo progetto e che ogni giorno lavorano con entusiasmo, nonostante le difficoltà che incontrano. Lo stesso entusiasmo che coinvolge noi fondatori ha contagiato col tempo le persone che collaborano con noi e che si sono innamorate del progetto e dei suoi valori: primo fra tutti Leonardo, ingegnere sordo che ormai da anni è entrato a far parte del team.
9) Che tipo di riscontro avete avuto dal pubblico sordo?
Tenendo conto del fatto che la soluzione creata da IntendiMe non è ancora sul mercato, non appena abbiamo reso pubblico il progetto, tantissime persone sorde di tutte le età e da ogni parte d’Italia, inclusi vari amici e familiari che vivono la sordità ogni giorno, hanno iniziato a contattarci per saperne di più e per entrare in possesso di KitMe. Siamo stati letteralmente travolti da un grandissimo entusiasmo e interesse. Non vediamo l’ora di soddisfare la loro paziente attesa che in fondo è anche la nostra!
10) Altri progetti in cantiere?
IntendiMe è già parecchio impegnativo, è un progetto enorme e la sua realizzazione è stata un percorso così tanto in salita che al solo pensiero di fare qualcos’altro ho un po’ paura. Scherzi a parte, desidero continuare a diffondere l’innovazione nel segno dell’accessibilità e dell’inclusione, veicolando messaggi positivi sulla sordità e sulle disabilità in generale. Per questo motivo stiamo costruendo un ambiente di lavoro inclusivo e paritario che comprenda personale sordo e udente capace di collaborare in equilibrio e nel pieno rispetto delle reciproche esperienze e professionalità. Questo è da sempre il nostro obiettivo e il perché del nostro impegno. Per noi le imprese devono generare valore non solo economico ma anche e soprattutto morale. È vero, abbiamo ancora un po’ di strada da fare, ma ogni giorno siamo sempre più vicini alla meta.
11) Qual è il tuo motto?
Sono una persona molto empatica verso il prossimo, credo molto nella collaborazione e nell’importanza dei piccoli gesti, perciò: “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”. Questo pensiero di Madre Teresa mi guida sia nella vita personale che lavorativa.