Intervista a Rosanna Zanchetti di Michele Peretti – 09/04/2020
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Rosanna Zanchetti è nata e vive a Roma. I suoi genitori erano entrambi sordi. Nata e cresciuta nel mondo dei sordi, ha affermato: “Solo all’età di sei anni, all’uscita da scuola, ho preso coscienza che i miei genitori erano diversi dai genitori dei miei compagni”. Si è laureata in Storia della Filosofia, ha conseguito un primo diploma di interprete LIS a Roma e successivamente presso l’Ente Nazionale Sordomuti, Sede Centrale, dove è iscritta nel Registro Nazionale degli Interpreti. Nel 1999 ha conseguito il primo diploma di Interprete LIS riconosciuto a livello europeo. Dal 1996 collabora con la RAI in qualità di interprete in simultanea della Lingua dei Segni. Traduce le edizioni LIS del TG1, TG2, TG3 e RAINEWS24 oltre ai discorsi di fine anno del Presidente della Repubblica, diversi dibattiti parlamentari e discorsi del Presidente del Consiglio. Ha collaborato con l’Università La Sapienza di Roma in qualità di interprete per studenti sordi. E’ stata inoltre interprete personale di alcuni Presidenti dell’Ente Nazionale Sordi. In Parlamento è stata interprete personale dell’allora Presidente ENS Ida Collu. In occasione del Giubileo del 2000 ha tradotto in mondovisione l’intervento del Papa. Formatrice di interpreti in corsi organizzati da associazioni di categoria, è stata docente di tecniche di traduzione e di analisi comparativa.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Non mi sono mai posta questa domanda. Vivere con dei genitori sordi è stata la mia condizione naturale, il mio mondo, fino all’ingresso nell’adolescenza. Da quel momento le regole, i modelli e la cultura sorda nei quali mi ero riconosciuta, non valevano più. Ho sentito la dolorosa necessità di prendere le distanze da quel mondo e di sviluppare una mia identità. Mi trovavo a essere non più “sorda” e non ancora “udente”. Dopo un lungo periodo di ricerca, grazie soprattutto alla scelta di seguire un Percorso di crescita interiore, sono giunta alla scoperta di me stessa e di come superare la rabbia che avevo nei confronti del mondo dei sordi. Ho compreso inoltre quale sia stato il mio imprinting di sussistenza, la mia necessità primaria di tradurre in un canale visivo tutto il mio mondo interiore di bambina, di Coda. Una delle prime consapevolezze acquisite è stata quella di imparare a raccontare il mio mondo sordo all’interlocutore udente e la necessità di un contatto visivo per attivare il mio codice comunicativo. Un’altra scoperta di me, che devo a questo percorso, è stata quella di capire come entrare in relazione con gli udenti. Avevo la necessità di un contatto fisico, di un tocco sulla spalla per arrivare a “sentire” a livello sonoro la comunicazione che stavo ricevendo: una sorta di codice di accesso comunicativo. Posso affermare con serenità che questo Percorso, in una sorta di work in progress continuo, mi porta a cogliere e approfondire le specificità che caratterizzano le due comunità, a costruire finalmente un ponte tra il mondo dei sordi, quello degli udenti e me stessa. Una sorta di puzzle dove tutti i pezzi trovano una loro giusta collocazione, arrivando così a una riappacificazione tra il mio “essere sorda” e il mio “essere udente”. Ora mi rendo perfettamente conto che la vita mi ha dato una grossa opportunità. La Lingua dei Segni ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo della mia personalità.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Ho imparato spontaneamente la Lingua dei Segni fin da piccola. Osservavo i miei genitori segnare tra di loro o con i loro amici e cercavo di cogliere tutte le loro espressioni e la portata comunicativa che trasmettevano. Ero comunque immersa in un mondo udente. Inoltre, la nonna e una zia paterna, entrambe udenti, abitavano con noi.
3) Quali sono i primi segni che hai imparato?
Sicuramente il segno MAMMA e il segno PAPA’, le prime due parole significative nella vita di un bambino. La frequenza del Circolo dei sordi dell’Istituto Gualandi e l’osservazione dei sordi intenti a comunicare tra di loro, hanno fatto sì che completassi il mio processo di acquisizione della Lingua dei Segni. Solo in età adulta, avendo fatto una riflessione linguistica approfondita sulla Lingua dei Segni, sono arrivata alla comprensione profonda delle strutture linguistiche e delle regole che la caratterizzano. Grazie a questa riflessione metalinguistica posso affermare di essere perfettamente bilingue.
4) A scuola ti sei mai sentita diversa?
Direi di sì, soprattutto in occasione dei colloqui dei genitori con gli insegnanti. Percepivo un certo imbarazzo da parte dei docenti e io vivevo un senso di vergogna mista a rabbia.
5) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
La cultura sorda è dentro di me, mi appartiene. È un mio patrimonio in continua evoluzione. Apprezzo la grande forza di volontà di donne e uomini sordi che combattono per il giusto riconoscimento legale della Lingua dei Segni; la capacità di ingegnarsi per affrontare anche le situazioni più disparate, il grande senso di comunità e solidarietà che permea i rapporti tra di loro. Una diffusa dipendenza dal mondo degli udenti, che purtroppo vedo ancora in certi ambienti, è l’aspetto che mi piace meno. Penso che queste persone dovrebbero smettere di delegare all’udente le proprie scelte, recuperando una propria capacità all’autodeterminazione. Solo così i due mondi, quello sordo e quello udente, potranno finalmente incontrarsi.
6) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Crescere perfettamente bilingue è stata un’opportunità fantastica e un grande aiuto quando ho scelto di svolgere la professione di interprete. In una relazione interpersonale mi porta a cogliere il sistema cinesico dell’intenzione comunicativa dell’interlocutore. Ciò è fondamentale per chi, come me, sceglie di fare questa professione. Di sicuro mi ha portato a sviluppare una buona memoria visiva e a strutturare un mio sistema di comunicazione che si attiva principalmente attraverso gli occhi. Grazie a questa opportunità ho sviluppato, direi quasi spontaneamente, l’attitudine alla comparazione linguistica, utilissima nelle tecniche di traduzione e interpretazione. Posso affermare che la Lingua dei Segni è quella che esprime al meglio il mio pensiero. Solo in un secondo momento devo necessariamente tradurre quello stesso pensiero in parole.
7) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Il sabato pomeriggio, al circolo ricreativo, dove i miei genitori incontravano i loro amici sordi e io potevo giocare con gli altri bambini, sordi e udenti, figli di sordi. Lì mi sentivo “normale” perché tutti comunicavamo con la stessa lingua: la Lingua dei Segni.
8) Diventare interprete LIS: scelta o senso del dovere?
La mia è stata una scelta consapevole: volevo diventare interprete e crescere professionalmente. Una sfida continua a trovare le strutture comunicative, il registro linguistico più adatto al contesto e realizzare quel passaggio transculturale dalla cultura udente a quella sorda e viceversa. D’altronde, essere interprete non significa soltanto possedere la padronanza della lingua che si traduce, bensì della cultura a essa legata. In effetti, nella lingua utilizzata (vocale o dei segni) troviamo spesso riferimenti ai proverbi, alle citazioni, ai modi di dire.
9) Come sei entrata a far parte del team di interpreti Rai?
Partecipando e superando una dura selezione. In questo ambito la vera formazione si acquisisce sul campo, affiancando un interprete senior e collaborando attivamente con la comunità sorda e i suoi ricercatori. Fondamentale è fare una comparazione linguistica che sia sempre più aderente alla Lingua dei Segni che, come tutte le lingue, evolve e si modifica costantemente.
10) Qual è il tuo motto?
Il mio Percorso di crescita interiore ha portato a fare mie queste convinzioni:
– nessuno è solo al mondo;
– nasco in una famiglia “opposta” per maturare un’esperienza di vita per me formativa;
– fondamentale è mantenere la consapevolezza di chi ero, chi sono e chi sarò.
Concludo affermando che per ogni problema ci sono tre soluzioni.