Intervista ad Assunta Galluzzi di Michele Peretti – 25/04/2020
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.
Assunta Galluzzi è figlia di genitori sordi. In famiglia ha una zia e un cugino anch’essi sordi. Ha lavorato per anni all’ENS di Salerno, presso altre sezioni Campane e anche per la sede nazionale. Attualmente ricopre la carica di presidente Anios Campania. Molti la conoscono come interprete istituzionale RAI. Questa professione le ha consentito di cimentarsi in svariati ambiti: politico, sociale, sanitario, religioso e artistico.
1) Cosa significa per te essere CODA?
Il tempo mi ha resa consapevole di essere diversa ma non in senso negativo. Ho un vissuto sicuramente particolare, una sensibilità e un senso di responsabilità sviluppatisi troppo presto rispetto ai miei coetanei.
2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
L’esposizione all’italiano come lingua è stata difficile. Da piccola vivevamo con la nonna paterna che parlava solo in dialetto. L’italiano lo ascoltavo in TV e alla radio. Mi incuriosivano le parole nuove, ma non avevo ancora ben compreso che si dovesse utilizzare questa lingua per comunicare con gli “altri”. Ero ancora piccola, la mia era una comunicazione alternata e mista. A volte confondevo il canale comunicativo da utilizzare, usavo i segni anche con gli udenti, fin quando non ricevetti una ramanzina da una zia di mio padre. Da quel giorno non ho più voluto andare a trovarla, nonostante la buonissima torta che preparava appositamente per me.
3) Diventare interprete LIS: scelta o senso del dovere?
Diventare interprete non è stata né una scelta e neanche senso del dovere. Mi è sempre risultato naturale accompagnare, spiegare, tradurre per i miei genitori e per i loro amici quello che ascoltavo quando ero con loro. Sono diventata interprete LIS senza nemmeno accorgermene.
4) Quale percorso formativo hai intrapreso per diventare interprete LIS?
Dopo un’adolescenza abbastanza tormentata cercavo di svincolarmi da responsabilità e doveri di figlia di sordi, intenta a trovare la mia libertà di spazio e di tempo. Tuttavia, verso la maggiore età, mio padre accettò di candidarsi per le elezioni amministrative. Un Sordo in politica, una vera novità per quei tempi. Sono rimasta al suo fianco, seguendolo per tutta la campagna elettorale. Alla fine mi ritrovai sul palco di Piazza Amendola della mia città a tradurre Bettino Craxi. Iniziai così questa avventura. Subito dopo ho collaborato con la sezione provinciale dell’ENS di Salerno, occupandomi di segretariato sociale, inizialmente come volontaria. Ho partecipato a una sanatoria dell’ENS Sede Centrale e ottenuto il primo attestato di interprete generico di Linguaggio Mimico Gestuale (LMG). Ho iniziato a seguire con interesse e curiosità il dibattito LIS/LMG e a confrontarmi con i pochi colleghi del mio territorio. Ho guardato alla Lingua dei Segni con una consapevolezza diversa che mi ha aiutata a comprendere anche il mio ruolo di interprete. I tempi nel frattempo sono maturati e ciò mi ha consentito di frequentare un corso di interprete LIS di 1200 ore nella mia città. L’unico sinora organizzato. Un vero colpo di fortuna.
5) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
Innanzitutto appartengo a questa comunità e sento di esserne parte integrante. Sono orgogliosa di come affrontano le difficoltà del quotidiano nel silenzio. Apprezzo il coraggio e la caparbietà con i quali perseverano nel condurre la loro vita con quel pizzico di follia; le abilità manuali, la loro creatività e soprattutto l’allegria e la spensieratezza. Apprezzo meno il finto vittimismo per ottenere, senza l’impegno necessario, quello che altri invece raggiungono con studio e sacrificio.
6) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
La mia personalità e il mio carattere si sono forgiati in questo ambiente. Sono aperta verso gli altri, non giudico e non discrimino. Ho molti limiti. Tuttavia mi sono autoregolata, a volte autoeducata e le decisioni che prendo sono sempre esageratamente analizzate. Mi fa star male il solo pensiero di ferire qualcuno, per cui prendo raramente posizioni.
7) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Mi sovviene una fredda sera d’inverno. Avrò avuto circa dieci o dodici anni e alla TV trasmettevano un vecchio film. I miei erano a tavola e io sotto il televisore traducevo in segni. La storia si fece sempre più struggente. Le lacrime scesero sul mio e sul loro viso. Mio padre, visibilmente commosso, si alzò per passarmi un fazzoletto affinché potessi asciugarmi le lacrime e continuare a segnare.
8) Come pensi debba essere valutata la qualità degli interpreti?
La qualità degli interpreti viene valutata in ogni circostanza sia dal sordo che dallo stesso interprete in quanto ponte comunicativo. Soddisfare le esigenze di entrambi i soggetti della comunicazione, soprattutto nel servizio in trattativa, non è sempre scontato. In questo mestiere aggiornamento e studio sono le costanti per non trovarsi impreparati.
9) Interprete e Performer: due facce della stessa medaglia?
Entrambi condividono certamente un percorso inerente la conoscenza della lingua, mentre le tecniche interpretative sono completamente diverse. I performer devono possedere in più una certa sensibilità artistica e la capacità di trasmettere il messaggio al di là delle parole. Io stessa sono stata performer in esibizioni di piazza, traducendo canzoni classiche italiane e napoletane e riscuotendo il plauso dei sordi. L’ultima esperienza, quella del Festival di Sanremo LIS (che molti hanno seguito su Rai Play) l’ho dedicata a mia madre, grande sostenitrice di questo evento. Sono fiera di aver interpretato sia il mattatore Fiorello che il monologo di Roberto Benigni. In questa occasione ho ricevuto i più bei complimenti della mia carriera.
10) Qual è il tuo motto?
“Non sono gli uomini a tradire, ma i loro guai” di Vasco Rossi.