Intervista a Gloria Antognozzi di Michele Peretti – 13/03/2019
Gloria Antognozzi, 26enne di Roma, è figlia udente di genitori sordi segnanti. Studia alla facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Università di Roma 3. Lavora come Assistente alla Comunicazione, Interprete LIS ed è socia fondatrice nonché Presidentessa dell’Associazione di Promozione Sociale CODA Italia.
1) Quali sono gli obiettivi raggiunti dall’Associazione CODA Italia in quasi cinque anni dalla sua fondazione?
In questi anni ci siamo dedicati alla realizzazione di varie attività:
– Champions camp e centri estivi per bambini sordi, udenti e CODA, volti all’integrazione e all’inclusione;
– incontri psicologici tra noi CODA e tra genitori sordi di figli udenti;
– tramite l’Aperisegno, ideato da Luca Capocchia, promuoviamo la Lingua dei Segni, informiamo e sensibilizziamo le persone che di sordità non sanno nulla.
Fino al 14 ottobre 2014, data di inaugurazione dell’Associazione, non si sapeva neanche chi fossero i CODA. Ad oggi si ha una maggiore consapevolezza sia dei CODA stessi, sia dei genitori sordi, poiché iniziano a chiedersi come approcciarsi alla realtà udente dei propri figli. Fondamentale è stato anche l’incontro e il confronto con ragazzi CODA francesi, inglesi, americani e russi con cui sono emerse tante belle idee. A luglio, in vista del CODA LOVE, una conferenza internazionale di tutti i CODA sparsi nel mondo, per la prima volta saremo presenti anche noi di CODA Italia. Sarà l’occasione per scambiarsi idee e collaborare per eventuali eventi e progetti futuri. Ogni anno, inoltre, la quarta domenica del mese di aprile, come tutte le altre Associazioni CODA nel mondo, celebriamo la festa dei genitori sordi, poiché senza di loro non esisteremmo. Tutto ciò ci ha dato la possibilità di creare una rete di persone CODA, genitori sordi e molti altri soci sostenitori (amici, parenti, udenti, sordi) che credono in noi.
2) Come sta evolvendo il progetto VIBRATIONS?
Vibrations è un video-documentario che nasce dalla voglia di fare qualcosa di concreto e mostrare la “diversità” come una ricchezza, dando voce a situazioni che per troppo tempo sono state nascoste. Coinvolge i genitori sordi con figli CODA e genitori udenti con figli sordi, con lo scopo di sensibilizzare e dare spunti alle persone che non hanno mai avuto nessun tipo di contatto con la sordità e ad altri Enti, Associazioni, Istituzioni per creare progetti, strumenti di conoscenza e sostegno volti all’integrazione e all’inclusione sociale. Io e Luca, il mio fantastico amico, lo stiamo facendo nel modo più naturale e umano che esista. Ad esempio andiamo nelle piazze a chiedere alle persone qual è il significato di termini quali emozione, silenzio, rumore, vibrazioni. Il confronto fa sì che tutti giungano a una conclusione: è la MENTE A CREARE LE DIFFERENZE. Il 23 gennaio abbiamo registrato la prima intervista da inserire nel video-documentario, l’11 marzo la seconda.
3) Cosa significa per te essere CODA?
L’essere CODA è stata una riscoperta! Fino a 7 anni fa non sapevo dell’esistenza di questo acronimo, poi un giorno partecipai a un workshop, organizzato dal Dott. Mauro Mottinelli, riservato unicamente ai figli udenti di genitori sordi. Soltanto quando mi ritrovai in quella stanza con altre 5 persone, tra cui mia sorella e altre due mai conosciute prima, mi resi conto di essere CODA. Infinite erano le cose che realmente ci accomunavano:
– le luci lampeggianti in casa per il campanello o per il telefono;
– i pomeriggi interi trascorsi all’Ente Nazionale Sordi dove giocavamo con altri bambini CODA e sordi;
– le cene con gli amici sordi dei nostri genitori, durante le quali ci addormentavamo sulle sedie perché non la finivano più di chiacchierare;
– le domande banali che ricevevamo dai nostri coetanei.
Praticamente ci accomunava la maggior parte del nostro vissuto fino alla fase adolescenziale. Ed è lì che ho sentito la necessità di dar vita a una realtà che parlasse anche di noi, figli udenti di genitori sordi. È buffo come alcune persone sorde pensino che avere un figlio udente sia la soluzione per una vita più semplice, solo perché SENTE! Non è affatto così: non è l’udito a risolvere i problemi, altrimenti non esisterebbero persone tristi, arrabbiate, deluse e nervose nella società in cui viviamo.
4) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Da sempre, grazie a Susanna, mia sorella maggiore di 6 anni, ai nonni udenti e ai parenti. Anche grazie al fantastico “romanaccio” di mio padre sordastro, mentre mia mamma cercava di accompagnare alla Lingua dei Segni la voce.
5) A scuola ti sei mai sentita diversa dagli altri?
Mai a livello relazionale con i compagni. Ero piena di amichetti, ma in classe ero come un alieno in un mondo di umani. Mi ricordo quando sbagliavo i termini come “stuzzidenti” anziché “stuzzicadenti” o quando non distinguevo il prosciutto crudo da quello cotto, continuandoli a chiamare prosciutto rosso o rosa. Ricordo, inoltre, che la maestra anche d’estate mi faceva fare un tema al giorno per incitarmi a migliorare il mio italiano. Alle medie l’insegnante di storia, Suor Lucia Agnese, mi obbligò a rimanere due pomeriggi a settimana per aiutarmi a studiare, fare schemi, esporre in modo corretto. Lo ricordo come una tortura infinita. Infatti alle superiori e ancora oggi odio la storia. Eppure devo ammettere che tutto ciò che mi ha insegnato, tra cui fare schemi e usare simboli, mi è tornato poi utile all’università. È proprio vero il detto: “Chi semina raccoglie!”
6) Da un punto di vista linguistico e culturale ti senti più udente o sorda?
Questa domanda l’ho sempre trovata scomoda. È quasi un’ arma a doppio taglio. Come dire ti senti più bella o brutta, più bianca o nera, più simpatica o antipatica. A tutte queste domande risponderei “dipende”. Mi definisco effettivamente udente, con la consapevolezza di essere cresciuta e di aver appreso tanto della cultura sorda.
7) Cosa apprezzi delle due culture e cosa invece ti piace meno?
Ovviamente non mi riferisco a tutti, bensì a un gran numero di persone sorde e di cui non apprezzo la diffidenza né il pregiudizio verso l’altro. Apprezzo, invece, la loro forza quotidiana nell’affrontare e nel vivere in una società piena di ostacoli. Degli udenti odio il pietismo e la scarsa conoscenza che hanno del mondo dei sordi per cui si fanno delle idee sbagliate e lontane dalla realtà. Allo stesso tempo ne apprezzo la diplomazia.
8) Hai incontrato delle difficoltà dovute al fatto di essere figlia di sordi? Se sì, quali?
Difficoltà parecchie, tante quante sono i benefici. Difficoltà di esprimere i miei bisogni o di comunicarli in modo chiaro e inequivocabile. Quando nascevano incomprensioni e mi alteravo, segnavo e parlavo contemporaneamente. Recriminavo il fatto di non riuscire a farmi capire, non sapevo mai in che lingua parlare affinché capissero cosa stessi provando. A volte mi succede anche adesso. Ricordo anche quelle volte in cui ho avuto degli incidenti con lo scooter nel cuore della notte. Mi vedevo costretta a chiamare Susanna che non viveva con noi e i miei sapevano l’accaduto la mattina dopo. Nonostante queste difficoltà, c’è sempre stato dialogo in casa, forse anche troppo!
9) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Beh…di benefici ce ne sono parecchi: iniziando dal conoscere due lingue, una vocale e una visiva (italiano e LIS), due culture (udente e sorda) e di conseguenza due modi diversi di scherzare che, vi dirò, mi fanno divertire entrambi allo stesso modo! Ma soprattutto il fatto di vedere, ascoltare, cogliere, percepire e interpretare le cose a 360 gradi. Dal tono di voce di una persona cogli il suo stato d’animo o il suo modo di essere, ma anche dall’espressione facciale e dal movimento del corpo potresti cogliere la stessa identica cosa. Come anche riuscire a parlare dal balcone di casa in Lingua dei Segni senza dover urlare e farsi sentire da tutto il vicinato!
10) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
A scuola iniziarono i primi disagi, le prime domande, che ogni volta mi imbarazzavano, poiché non coglievo la diversità dei miei genitori. Le classiche domande che ancora oggi ricevo, ma con una consapevolezza diversa. Come ad esempio: ma i tuoi genitori guidano? Parlano? Pensano? Domande che reputavo banali e retoriche essendo azioni da comuni mortali. Quando tornavo a casa e chiedevo ai miei genitori il perché di queste domande, loro erano sempre pronti a sostenermi, spronandomi a rispondere con fermezza e a essere orgogliosa di ciò che avevo e conoscevo. Avevano proprio ragione! Conoscevo una lingua in più: la Lingua dei Segni Italiana (LIS) che mi avrebbe permesso poi di lavorare nelle scuole, di lavorare come Interprete, educatrice e molto altro ancora.
11) Diventare Assistente alla comunicazione: vocazione o senso del dovere?
Senza dubbio: VOCAZIONE! Ho sempre considerato i bambini una forza della natura. Non vedono le differenze poiché è il gioco a unirli. Loro sono decisamente il nostro futuro. La sensibilità, la conoscenza e la consapevolezza della diversità di questi bambini, li rendono davvero speciali. È capitato spesso che fossero proprio loro a chiedermi di tradurre per il compagno sordo. Solo costruendo, insieme a loro, delle basi solide si riuscirà a creare una società futura migliore, lontana dai falsi miti del passato.
12) Qual è il tuo motto?
In realtà ne ho due: “Ridi, Ridi sempre, perché il sorriso è la curva più bella che esista!” e “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!”.